Storia del motore a scoppio

Per conoscere le cose è sempre bene partire dalla loro storia, in grado di inquadrare anche il percorso di crescita e sviluppo avvenuto. Un discorso che è validissimo anche per la storia del motore a scoppio. Una storia affascinante che ci aiuta a scoprire come questo strumento sia arrivato, cambiato e modificato, ai giorni nostri.

L’invenzione del motore a scoppio è attribuita a due lucchesi, Eugenio Barsanti e Felice Matteucci, che lo brevettarono nel 1853: tuttavia, il progetto è stato sviluppato nel 1875 da Nikolaus August Otto con la collaborazione di Gottlieb Daimler e Wilhelm Maybach.

Successivamente nell’anno 1860, il francese Lenoir, riuscì a costruire il primo motore a combustione interna, al quale seguì una massiva produzione industriale. Si trattava di un motore definito a doppio effetto, ovvero dotato di una particolare distribuzione a cassetto. In esso, la miscela era costituita da aria e gas illuminante, che veniva aspirata dal pistone all’interno della camera di combustione.

Questo avveniva per circa metà corsa; successivamente una scintilla elettrica si accendeva, andando ad incendiare il combustibile, che a sua volta andava a spingere lo stantuffo per la seconda metà del percorso; in questo modo veniva compiuto un giro utile. Il rendimento di questo motore era del 4 per cento, e per questo motivo la diffusione di questo motore fu particolarmente importante.

Successivamente nell’anno 1886, i tedeschi E. Langen e A. Otto, progetteranno e costruiranno un motore verticale a stantuffo libero, assolutamente analogo a quello degli italiani Barsanti e Matteucci; tuttavia il motore dei tedeschi era leggermente differente, per via di alcuni accessori. In particolare lo speciale innesto tra l’albero motore e il rocchetto, andava a controllare il movimento dello stantuffo.

Nei primi prototipi mancava la fase di compressione, ovvero la fase di aspirazione terminava precocemente con la chiusura della valvola di aspirazione prima che il pistone raggiungesse metà corsa, al che scoccava la scintilla e la combustione spingeva il pistone per la restante corsa, approfittando poi della riduzione di pressione per farlo risalire e questo ciclo era davvero poco efficiente.

Le prime applicazioni pratiche dei motori a combustione interna furono come motori marini fuoribordo. Questo perché il principale impedimento all’applicazione pratica del motore a combustione interna in veicoli terrestri era il fatto che, a differenza del motore a vapore, non poteva partire da fermo. I motori marini non risentono di questo problema, essendo le eliche esenti da un rilevante momento di inerzia. Dopo anni di sperimentazioni, solo nel 1899 apparvero delle vere frizioni in grado di far partire un veicolo terrestre da fermo senza doverlo spingere manualmente: ciò diede l’effettivo impulso allo sviluppo dell’autovettura.

Aristide Orvieto

Ingegnere meccanico mancato per poco, Aristide Orvieto si occupa di meccanica e riparazione di auto a livello professionale. La passione per l'ingegneria meccanica e, n generale, per le componenti meccaniche delle automobili, in particolare i motori, lo ha portato a creare questo sito nel quale aggiorna su tutte le ultime novità e ripercorre anche la storia dei trasporti.

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